Arrivano durissimi racconti da parte di Federica Pellegrini nella sua autobiografia dal titolo ‘Oro’. Gli attacchi di panico e la bulimia.

Si chiama ‘Oro‘ ed è l’autobiografia di Federica Pellegrini di cui in queste ore stanno arrivando le prime anticipazioni. Spiccano le parole sugli attacchi di panico e soprattutto sul problema della bulimia che l’ex campionessa di nuoto ha raccontato a cuore aperto.

Federica Pelligrini: la bulimia e gli attacchi di panico

Federica Pellegrini
Federica Pellegrini

Dalle anticipazioni dell’autobiografia di Federica Pellegrini riportate da Repubblica arrivano parole pesantissime.

Tutto parte da quanto vissuto dall’atleta ai Mondiali di Montréal del luglio 2005 quando aveva dato tutto per prendere la medaglia d’oro nei 200 ma si dovette accontentare dell’argento.

“‘Questa medaglia è da buttare. Non ho ancora capito perché la finale mi sia venuta così male. Non trovo risposte a un crono così deludente'”, aveva risposto alla giornalista dopo la gara. “‘Mia mamma, che mi guarda alla televisione, si spaventa. Mi conosce, indovina come sto dal modo in cui le rispondo al telefono, già se la chiamo mamma e non mami si preoccupa. Mi ha detto che ero irriconoscibile, gonfia come non mi aveva mai vista”‘.

“Avevo diciassette anni, che è già abbastanza un casino di per sé anche se non devi nuotare in una gara mondiale. Non provavo alcuna indulgenza nei miei confronti. Ero rigida, non vedevo via d’uscita. Nelle foto ho gli occhi completamente spenti. E sono gonfia, brufolosa, i capelli lunghi che non ho più avuto e neanche mi piacevano”.

“Da qualche mese, poco dopo essermi trasferita a Milano, avevo cominciato a ingozzarmi di cibo. Ero capace di far fuori chili di gelato seguiti da svariate tazze di cereali una dietro l’altra. Una volta mia mamma era venuta a trovarmi e se n’era accorta. Le avevo detto ho fame, facciamo merenda? E avevo divorato due buste di prosciutto crudo e tre pacchetti di cracker. Lei mi aveva guardato perplessa”.

“La sera, dopo aver mangiato tutto quello che potevo durante il giorno, vomitavo. Lo facevo sistematicamente, ogni sera prima di andare a dormire, quando il ricordo di tutto il cibo ingurgitato aumentava il senso di colpa. Vomitare era un po’ come ripulirsi la coscienza e anche la mia maniera di metabolizzare il dolore. Si chiama bulimia ma io non lo sapevo. La bulimia per me non era il problema, era la soluzione. Il mio modo di dimagrire senza sacrifici mangiando tutto quello che volevo. Certo, una parte di me intuiva che era un segnale, che stavo cercando di toccare il fondo perché mi fosse evidente che avevo preso una direzione sbagliata. Ma più mi vedevo grassa e più mangiavo. Tanto ormai ero lontanissima da come avrei voluto essere. L’unica cosa che potevo fare era andare avanti così. Alla fine qualcuno se ne sarebbe accorto e mi avrebbe fermato, pensava una parte di me. E nel frattempo continuavo a mangiare”.

[…] “Eppure avevo sempre avuto un rapporto sano con il cibo. Non mi sono mai fatta seguire da un nutrizionista, uno di quelli che ti dà la dieta al milligrammo. Mangio tutto, tranne la besciamella e la trippa che non mi piacciono. Negli anni mi sono accorta che non avevo bisogno di fare grosse rinunce, anche quando mi allenavo. Senza abbuffarmi, ma se avevo voglia di un tiramisù me lo mangiavo. O di un bicchiere di vino. Sono cresciuta in Veneto in una famiglia di bartender. Sono cresciuta pensando che bere con moderazione fosse una cosa naturale. Fin da bambina sapevo cosa fosse uno spritz, perché i miei genitori me lo avevano fatto assaggiare. Così quando arriva il tramonto sento il bisogno di fermarmi e bere qualcosa, per scaricarmi. È quasi una questione genetica. Ovviamente quando nuotavo non lo facevo tutte le sere, ma il fine settimana mi capitava.

Negli ultimi anni della mia carriera agonistica, quando non mangiavo abbastanza, un bicchiere di vino mi aiutava addirittura a sbloccare lo stomaco”.

Gli attacchi di panico

Il Corriere della Sera, invece, riporta alcuni passaggi sugli attacchi di panico.

“Mi preparo per i 400. Al take your marks salgo sul blocco di partenza, i muscoli si contraggono pronti allo scatto, mi tuffo e dopo 50 metri smetto di respirare. La gola mi si stringe come se qualcuno stesse cercando di strangolarmi. Soffoco. Mi parte la testa. Mi fermo, esco, prendo la mia roba e scappo via piangendo. Ritirandomi dalla gara faccio perdere la mia squadra. Chiedo scusa in lacrime a tutti, mi dispiace ragazzi ma c’è qualcosa che non va. In Alberto si insinua il sospetto che la faccenda sia più seria del previsto, che per risolverla serva qualcosa in più che ignorarla e continuare a nuotare. Ma durante gli allenamenti va tutto liscio”.

“Arrivano gli Assoluti, la prima settimana di marzo a Riccione. I campionati assoluti di primavera sono la gara italiana più importante, quella che ti qualifica alle gare dell’estate, e cioè le Olimpiadi, gli Europei o i Mondiali. Agli Assoluti si compone la squadra che partirà. È un test cruciale e tutti si presentano in tiro, preparati. La mattina ho la batteria dei 400, per rientrare tra le prime otto in Italia. In quel periodo, in forma com’ero, doveva essere una passeggiata di salute. E invece monto su quel cazzo di blocco e smetto di respirare. Mi paralizzo, guardo la corsia, mi dico non ce la faccio. Di nuovo prendo la mia roba e vado via“.

[…]. “Due giorni dopo la mia crisi di panico nella batteria dei 400, l’8 marzo, scendo in vasca per la finale dei 200. Vinco e faccio il record del mondo. Un record del mondo davanti alla mia famiglia durante una gara italiana, incredibile. Tornando da Riccione verso casa accendo la radio e sento Platinette che commenta la gara dicendo: ma che cos’ha che non va questa ragazza? Un giorno scappa dal blocco di partenza e due giorni dopo fa il record del mondo”.

“Il vero problema era che non avevo nessun problema. Almeno a livello organico. […] Si era semplicemente innescato un meccanismo perverso nella mia testa: non una causa reale, ma la paura che mi venisse una crisi mi faceva venire la crisi“.

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ultimo aggiornamento: 15-05-2023