C’è grande attesa per la mostra di Max Ernst che aprirà i battenti presso la Fondation Beyeler di Basilea il 26 maggio, per prolungarsi fino all’8 settembre 2013. Concepita dai curatori ospiti Werner Spies e Julia Drost (e Raphaël Bouvier per la sede ospitante) e realizzata in collaborazione con l’Albertina di Vienna e la sua curatrice Gisela Fischer, l’esposizione riunisce un analogo numero consistente di capolavori, che presentano in ordine cronologico tutte le fasi creative e i gruppi tematici importanti, con un’intera sala dedicata al ciclo delle Foreste. Un percorso che vede una selezione di opere dal diverso impatto visivo dell’allestimento con 21 opere tra le più note dell’artista, esposte unicamente alla Fondation Beyeler, la cui collezione ne conta ben sette.
Di origine borghese ed educato alla maniera conservatrice, Ernst attraversò una profonda ribellione, testimoniata dalla dissacrante “La Vergine sculaccia il bambino Gesù”, fu internato
due volte come “straniero ostile” durante la guerra, rilasciato su intercessione dell’amico poeta Paul Éluard, per poi fuggire in esilio negli USA dove influirà sulla giovane generazione di artisti americani per un decenni, prima di ritornare nell’Europa devastata e ottenere infine la cittadinanza francese.

Il gusto della sperimentazione nell’uso delle tecniche più disparate fece di Max Ernst un pioniere dell’espressione multimediale. In apparenza con scioltezza, egli condensò nella sua opera i temi, gli stili e le tecniche di volta in volta importanti per la relativa generazione. La sua instancabile ricerca di sempre nuovi linguaggi, interrogativi e soggetti è emblematica per l’uomo moderno. Max Ernst ci appare come l’artista che “non volle mai trovarsi”. Viandante tra mondi e culture, Max Ernst, con i suoi esordi nel movimento dada, la sua posizione di primo piano nel gruppo surrealista e la sua gestualità anticipatrice dell’action painting, unì Parigi a Colonia e a New York e poi di nuovo alla Francia.

Un artista riconosciuto ed esposto all around the world, dalla Biennale di Venezia, alla documenta di Kassel, Max Ernst ebbe un’esistenza ricca di avvenimenti che gli permise di diventare uno degli esponenti di spicco del surrealismo. Dalla vita oltremodo mondana al fianco della sua mecenate nonché moglie per breve tempo Peggy Guggenheim, all’esistenza incantata nel deserto dell’Arizona assieme all’artista Dorothea Tanning, passando per le grazie di Gala Eluard (moglie di Paul Éluard e poi musa di Dalí).
Un intellettuale brillante, a proprio agio nell’arte come nella letteratura, ed animato da una spiccata curiosità per le scienze naturali e la psicoanalisi, ma anche un formidabile sperimentatore, passato per un’enorme molteplicità di tecniche, dai collage ottenuti da ritagli al bisturi degli anni venti come “La femme 100 têtes” (La donna cento teste; titolo che francese suona anche come “La femme sans tête”, la donna senza testa) ai frottage, ossessione per le asperità del pavimento e di altri oggetti in legno presenti nella pensione nella quale soggiornò in Bretagna, ai grattage, sorta di frottage pittorici, alle decalcomanie riprese verso la fine degli anni ’30 per rappresentare misteriosi paesaggi popolati da strane creature, le oscillazioni semiautomatiche che anticipavano i drip-painting di Pollock.

Nelle immagini Max Ernst, L’angelo del focolare o Il trionfo del surrealismo, 1937, olio su tela, 114 x 146 cm, collezione privata © 2013.
Max Ernst, Alla prima parola chiara, 1923, olio su gesso montato su tela, 232 x 167 cm, Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen, Düsseldorf, Photo: Walter Klein, Düsseldorf © 2013, ProLitteris, Zurigo.

Via | fondationbeyeler.ch

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ultimo aggiornamento: 15-05-2013