Tra le centinaia di opere e scritti che Dario Fo ci lascia, è sicuramente “Mistero buffo” quella per cui verrà ricordato per l’eternità. Un’opera che da tutti viene considerata come il suo capolavoro e per la quale gli venne riconosciuto qualche anno dopo il Premio Nobel per la Letteratura.

Presentata nel 1969 come “giullarata popolare”, Mistero buffo è un insieme di monologhi che riprendono e descrivono alcuni episodi ad argomento biblico, ispirati ad alcuni brani tratti dai vangeli apocrifi o dai racconti popolari sulla vita di Gesù.

La particolarità dell’opera, però, sta nel linguaggio utilizzato, un linguaggio inventato, frutto di un mix di linguaggi diversi, di dialetti e onomatopee, ribattezzato da Fo stesso come “Grammelot”, che assume di volta in volta la cadenza e le parole, in questo caso, delle lingue locali padane. Una tecnica che, come spiegò lo stesso Fo, aveva imparato da Beolco Ruzante, drammaturgo padovano del ‘500: “Da lui, dal Beolco Ruzante ho imparato a liberarmi della scrittura letteraria convenzionale e ad esprimermi con parole da masticare, con suoni inconsueti, ritmiche e respiri diversi, fino agli sproloqui folli del grammelot”.

E’ il corpo però ad essere la prima forma di linguaggio: il teatro di Fo si baserà infatti sulla corporalità e sulla forte presenza scenica dell’attore solo sul palcoscenico e in cui il racconto, il plot, è un canovaccio dal quale partire e lanciarsi in voli pindarici.

Mistero buffo può liberamente definirsi come opera capostipite di un genere teatrale moderno, con quella narrazione e quello stile che venne in seguito ripreso da altri autori come Paolini, Baliani, Pesce e molti altri appartenenti al teatro contemporaneo.

Mistero buffo è suddiviso in 8 episodi, che sono: Resurrezione di Lazzaro, Bonifacio VIII, La fame dello Zanni, Storia di San Benedetto da Norcia, Grammelot di Scapino, Grammelot dell’avvocato inglese, Maria alla Croce, Il miracolo delle nozze di Cana. Una fusione di sacro e profano, una parodia, una giullarata che in Italia venne poco apprezzata ma che all’estero gli conferì nel 1997 il Premio Nobel per la Letteratura. Perché, come scrisse l’Accademia nella motivazione a cotanto riconoscimento, “seguendo la tradizione dei giullari medievali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”.

Riproduzione riservata © 2024 - PB

ultimo aggiornamento: 13-10-2016