Care fanciulle che lottate contro le discriminazioni di genere, attenzione a quello che dichiarate su FB, perché potrebbe costarvi il posto di lavoro. Stavolta a farne le spese è stata una impiegata di banca trevigiana di 33 anni, che identifichiamo con le sole iniziali (G.R.), licenziata dall’istituto di credito padovano per cui lavorava per aver “diffamato” l’azienda. Motivo?
Aver avanzato delle aperte critiche – via FB naturalmente – circa i criteri di selezione utilizzati degli addetti al personale (maschi) della sua banca. Qualifiche, pregressa esperienza, solida preparazione, titoli di studio, motivazione… ? Niente di tutto questo. Bella presenza.
E basta. Secondo G.R. nel suo istituto di credito questa “qualità”, se declinata al femminile, è più che sufficiente per ottenere il posto. Ecco lo “sfogo” è apparso sulla sua bacheca Facebook qualche tempo fa, e che le è costato davvero caro, è il caso di dirlo:
Ha un nome la patologia di certi uomini, responsabili della selezione del personale, che fanno colloqui solo a ragazzine di diciannove anni con il fisico da modella e gli occhioni da cerbiatta?
E ancora:
Gli uomini sono fatti così: se sei bella per loro sei bravissima, hai valore e sei piena di meriti. Punto. E poi stiamo qui a parlare di donne e meritocrazia. Ma dai!!! Le donne dovrebbero mandare a f… il mondo maschile e il politically correct e prendersi quello che spetta loro. Altro che storie. Se le donne oggi fossero al mio posto a vedere e sentire quello che vedo/sento io forse aprirebbero gli occhi…
Più chiaro di così. Un’accusa al vetriolo ma, evidentemente, forte di inappuntabili argomentazioni. Peccato che i boss di G.R., punti sul vivo, e forse anche dotati di una bella coda di paglia, se la siano presi con la loro dipendente. In prima istanza le hanno fatto recapitare una lettera di contestazione, successivamente è arrivata una sospensione di 5 giorni e, dopo un colloquio in cui, evidentemente, la giovane non ha receduto dalle sue posizioni, si è giunti all’epilogo finale, il licenziamento.
La “giusta” causa in questo caso era l’accusa di diffamazione, ma G.R. ci tiene a far sapere di non aver diffamato nessuno, ma di essersi limitata a raccontare, coram populo, un andazzo comune. Che in Italia la meritocrazia sia una bella sconosciuta, che tutti invocano ma che nessuno ha mai visto, è purtroppo cosa nota. A farne maggiormente le spese sono soprattutto le donne, penalizzate in quanto tali, spesso discriminate, mal pagate, più facilmente vittime di mobbing.
Naturalmente G.R. ha tentato fino all’ultimo, avvalendosi anche di una consulenza legale, di far valere i propri diritti di lavoratrice in modo da riavere il suo posto di lavoro, ma non c’è stato nulla da fare. Disoccupata, questa giovane combattiva, la cui vicenda è apparsa sul quotidiano “Il Mattino di Padova“, non lo rimarrà a lungo, ne siamo certi.
Quello che ci sgomenta è che ancora esistano aziende in cui la selezione del personale spetti a soli uomini, e che tutti, evidentemente, convergano sull’utilità di assumere personale femminile la cui principale qualifica sia la bellezza. Questo ci lascia, effettivamente, basite.
Ecco perché è così importante denunciare, pur assumendosi dei rischi in tempi in cui un posto di lavoro vale oro, più che nel passato. Il coraggio paga, se il fine è quello di scardinare certi ingranaggi maschilisti francamente insopportabili, e pure, diciamolo, antieconomici. A mettere alla berlina certe dinamiche ci si guadagna tutti, alla lunga, ma da qualche parte bisogna pure cominciare. Quante G.R., in Italia, potrebbero raccontare casi analoghi?
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Fonte| Repubblica.it
Foto| via Pinterest
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