Parla di diagrammi Francesco Clemente, nato a Napoli nel 1952 e attivo tra l’Italia, New York e Madras, le cui opere saranno esposte a cura di Achille Bonito Oliva e a partire da domenica 24 novembre 2013 a Palazzo Sant’ Elia di Palermo. Linee fatte di punti da unire come campi di forze che sviluppano grandi quantità di energia che interrogano appunto la “Frontiera di immagini” della mostra nata nel seno di un articolato progetto dedicato a La Transavanguardia italiana, ideato dal medesimo critico in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, inaugurato nel 2011 dall’omonima collettiva apertasi in Palazzo Reale a Milano e sviluppatosi lungo lo scorso biennio in una serie di appuntamenti di studio con filosofi, critici e storici dell’arte e lungo cinque personali dedicate ai protagonisti storici della Transavanguardia: Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Nicola De Maria, Mimmo Paladino.
Penultima tappa dell’iniziativa, la mostra di Clemente ha il duplice pregio di portare per la prima volta in Sicilia l’opera di uno degli artisti italiani più noti e apprezzati a livello internazionale e di riaccendere contemporaneamente l’attenzione sui suoi lavori. Una sessantina di opere rappresentative delle indagini artistiche sviluppate negli ultimi trent’anni con un cap fondamentale sugli ultimi due decenni di attività segnati dall’importante retrospettiva organizzata dal Salomon R. Guggenheim Museum di New York e Bilbao nel 1999-2000.

Francesco Clemente | Crown 1988 cm. 213,3x1029  cm trittico, olio su tela, Foto Patrizia Tocci Courtesy Fondazione MAXXI.

Fino al 2 marzo 2014, una sessantina di opere rappresentative dei temi, delle scelte iconografiche e delle problematiche linguistiche, come il trittico ‘Crown’ (1988, MAXXI-Museo delle arti del XXI secolo, Roma), riferimento alla corona di spine del Cristo, ma anche i quadri della serie Tandoori Satori (2003-2004), che fondono elementi del Buddismo Zen e della cucina dell’Asia meridionale con le stilizzazioni underground della New York anni ottanta intrise di Keith Haring.

Il percorso espositivo segue la riflessione dell’artista e il suo procedere per cicli successivi di lavoro, nei quali i lunghi soggiorni in India e i viaggi in Europa, nei Caraibi, Egitto, Sud America, Giamaica danno vita a un vocabolario costantemente in divenire. Un grande laboratorio di ideogrammi ed emblemi apotropaici, in cui gli opposti convivono, di simbologie e associazioni spesso messe in scena dall’artista attraverso il proprio autoritratto, che dalla fine degli anni 70 costituisce la cifra della sua poetica.

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Via | francescoclementepalermo.it

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ultimo aggiornamento: 21-11-2013