E’ difficile non avere la sensazione di trovarsi in una foresta di alberi secolari, testimoni del tempo e della storia. Gli alberi secolari sono invece 70 opere che Louise Nevelson ha realizzato nell’arco della sua brillante carriera artistica fino alla morte avvenuta nel 1988. Anticonformista, stravagante e tenace, ha portato avanti con orgoglio il suo lavoro nonostante le ristrettezze economiche e dando un contributo notevole alla nozione plastica del periodo, partendo da studi sull’arte cubista.

Il legno è la materia privilegiata da Nevelson, figlia di un commerciante di legname russo, che assembla formando gigantesche sculture totemiche. Non a caso durante un viaggio in Sud America ha notato la somiglianza con le architettura di queste civiltà. Il collage diventa tridimensionale e fa scoprire meravigliosi contrasti di luce quando i piani, scomposti alla maniera cubista, svelano e nascondono nuovi spazi scultorei. Luce e ombra sono le uniche due “componenti cromatiche”. Il nero è infatti il colore assoluto (“Il nero è il colore più nobile di tutti, il nero racchiude tutti i colori”) che Nevelson utilizza ossessivamente in quasi tutta la sua produzione, eccetto che per brevi periodi in cui sceglie il bianco (’59-’60) più allegro, per le opere a carattere religioso e l’oro il colore degli dei e della spiritualità (’60-61).

Queste sculture che diventano di dimensioni monumentali negli anni ’70 sembrano volerci rubare il nostro stesso spazio vitale e gridare la nuova esistenza di oggetti d’uso comune, racimolati qua e là dall’artista. I suoi assemblaggi, utilizzati come tecnica anche da molti artisti americani, ci fanno sognare di mondi legati all’origine della materia e altre volte alla tranquillità della vita domestica soprattutto quando tra gli scarti industriali si riconoscono vecchie sedie da cucina o pomelli di un letto. Davvero suggestivi!

E se riunire oggetti destinati a disperdersi era come un viaggio senza ritorno nel caos esistenziale il disegno, importantissimo per la sua concezione artistica, serviva ad ordinare questo caos e a riconoscersi.

Foto| Fondazione Roma Museo e Fondazione Marconi

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ultimo aggiornamento: 17-05-2013