Per me le parole sono il modo per entrare in contatto con la soggettività umana, a livello più elementare. Il tentativo di dare voce a qualcosa, di dire qualcosa, di raccontare una storia.

Afferma così Okwui Enwezor, curatore di All the World’s Futures, evento principale della 56esima Biennale d’arte di Venezia.

Il racconto concepito da Enwezor è vastissimo e labirintico, come Venezia e come la vita. Ed è un percorso complesso, polifonico, a tratti radicale, che il curatore Okwui Enwezor ha costruito utilizzando filtri diversi e lasciando le porte aperte alle possibilità alternative. Come in ogni struttura complessa che si rispetti, nella mostra è possibile entrare da diversi luoghi e in diversi modi. Nelle corderie dell’Arsenale si può decidere di farsi abbagliare dai neon iconici di Bruce Nauman, oppure ci si può perdere nel lavoro potente di Fabio Mauri, all’ombra del suo Muro occidentale o del Pianto, fatto di valige per Auschwitz e altre destinazioni senza ritorno, circondati da una serie di opere grafiche dai contenuti definitivi. Imperdibile il Dead Tree di Robert Smithson, artista simbolo della Land Art. Nell’imponenza naturale del suo lavoro si sente vibrare lo sguardo collettivo sulla fragilità umana e del pianeta.

Riproduzione riservata © 2024 - PB

ultimo aggiornamento: 11-05-2015