La Ferrari Dino 246 GT appartenuta ad Elton John è stata battuta all’asta da Bonhams a Londra, per la ragguardevole cifra di 327 mila euro. Questo esemplare, di colore giallo, era stato acquistato dal divo d’oltremanica nel 1972, come sigillo di una grande passione e del successo ottenuto dal singolo Crocodile Rock.
L’opera, dedicata al figlio di Enzo Ferrari (prematuramente scomparso), fa uso di un marchio insolito, la cui scelta servì a smussare i rischi connessi all’apertura a nuove e più estese fasce di mercato, che poteva compromettere l’immagine del “cavallino rampante”. In realtà l’esordio in produzione del modello avvenne nel 1968 con la 206 GT, dotata di un piccolo e prestante due litri da 180 cavalli.
La vita della versione meno muscolosa fu tuttavia brevissima e, già nel 1969, lasciò il posto alla 246, dalla cui sigla numerica si colgono alcuni dei suoi elementi caratteristici: la cubatura di 2.4 litri e l’uso di un propulsore a 6 cilindri. Una novità, quest’ultima, di forte impatto rispetto alle realizzazioni precedenti. La vettura nacque con l’obiettivo di intercettare nuovi e più vasti segmenti di clientela.
Per riuscirci sfruttava un prezzo di listino meno impegnativo e l’intrigante disposizione posteriore centrale del motore che, con il suo carico di novità, creò interesse attorno alla nuova creatura. La Dino è stata infatti la prima stradale uscita dai cancelli di Maranello a distinguersi per questa architettura tecnica. La sua linea, morbida e ondulata, esprime un grande carattere.
Firmata da Pininfarina, divenne presto un must, una pietra miliare imprescindibile per gli sviluppi successivi di tutta la produzione Ferrari. Le pinne alle spalle dell’abitacolo, che si raccordano dolcemente alla coda, assurgono al rango di schema di riferimento nell’impostazione estetica dei modelli successivi. Anche le luci posteriori sdoppiate si ergeranno a marchio di fabbrica del “cavallino rampante”. E’ un piccolo grande gioiello; una creatura dal fascino esemplare, magnetico e ammaliante.
Il propulsore, con angolo di 65° fra le bancate, discende dallo sviluppo del Dino 6 cilindri firmato da Vittorio Jano. Dotato di blocco in ghisa e alimentato da 3 carburatori doppio corpo, sviluppa la ragguardevole potenza di 195 CV a 7600 giri a minuto. E’ destinato a muovere sportivamente un corpo vettura pesante 1080 kg, che diventano 1100 nella versione Gts, con tettuccio rigido asportabile. Il telaio è un consueto traliccio in tubi di acciaio a diversa sezione, con pianale in lamiera saldato, integrato da strutture di supporto per il motore e le sospensioni posteriori.
Garantisce buone performance in termini di robustezza ed offre un comportamento stradale granitico e a prova di insidia. La piacevolezza di guida non viene mai a mancare, assecondando il guidatore sia nelle tormentate strade di montagna che nei percorsi più scorrevoli, dove l’agile Dino riesce a sfiorare i 245 km/h. La compatta carrozzeria plasmata da Scaglietti, che nella 206 è interamente in alluminio, nella 246 diventa in acciaio, ad esclusione delle porte e dei cofani (che rimangono in alluminio). Questo intervento sortisce effetti negativi sul peso rilevato alla bilancia.
L’incremento del passo, bilanciato visivamente da un cofano motore allungato e da profili di raccordo più estesi, è di 6 cm, per l’adozione di una frizione capace di sopportare meglio gli oltre 23 Kgm di coppia motrice. La Gts, dotata di tettuccio rigido asportabile, esordì al Salone di Ginevra del 1972 e fece breccia nel cuore dell’esigente clientela statunitense. Il notevole successo conseguito sui mercati internazionali è testimoniato dai numeri. Ben 3755 sono state le Dino uscite dai cancelli dell’azienda emiliana: 1274 esemplari di queste consentono di vivere l’emozione di un viaggio a cielo aperto.
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Foto | Bonhams.com
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