Oggi abbiamo selezionato per voi 3 delle auto da collezione più famose di casa Ferrari. Si tratta di autentici capolavori, il cui solo nome basta ad emozionare gli appassionati di tutto il mondo.

Opere d’arte frutto dell’ingegno umano e dell’estro creativo, che hanno segnato tappe importanti nella storia del mito del “cavallino rampante”. Oggi, per avere uno di questi gioielli, bisogna spendere cifre stellari, ammesso che si riesca a trovare un esemplare in vendita. Seguiteci nel nostro viaggio alla loro scoperta.

Ferrari 250 GTO

La 250 Gto è un sogno irraggiungibile, ma entusiasma tutti, non solo gli appassionati d’auto. Questa creatura del “cavallino rampante” ha una storia nobile, fatta di passione, bellezza e successi nelle corse.

Si tratta di un’opera davvero straordinaria. Basta guardarla per innamorarsene. La linea slanciata del cofano, il muso basso e lungo, la coda fast-back con ampio spoiler e l’armonia degli elementi consegnano agli occhi un’immagine dinamica ed aggressiva, ma anche sensuale ed elegante.

Tre feritoie semi-ovali caratterizzano il frontale, che sfoggia un incomparabile carisma. E’ un vero gioiello, che si erge ad icona del mito del “cavallino rampante”. La spinta è assicurata da un classico 12 cilindri di 3 litri, disposto longitudinalmente, derivato dal propulsore della Testa Rossa. Grazie alla potenza vicina ai 300 cavalli, sfiora i 290 km/h di velocità di punta.

L’alimentazione è affidata a una batteria di 6 carburatori doppio corpo, posti al centro della V che separa le due bancate. Il cambio a 5 rapporti sincronizzati si trova dentro l’abitacolo, per una più efficace distribuzione dei pesi. La posizione arretrata del motore migliora l’handling. I freni sono a disco, per contrastare la sua foga.

Lo sviluppo dell’auto, progettata da Carlo Chiti e Giotto Bizzarrini, venne affidato al giovane Mauro Forghieri, che si dimostrò all’altezza della situazione. Nel palmares della Gto ci sono tre allori iridati raccolti tra il 1962 e il 1964. Incredibile la lista dei suoi successi.

Questa vettura è la sintesi del mito di Maranello. Nessun altro modello è riuscito ad entrare nel cuore degli appassionati come lei. I successi a ripetizione, l’armonia dei volumi, la potenza del motore, la resistenza alla fatica e le musicalità meccaniche espresse ad ogni azione sul gas hanno lasciato un segno indelebile nella storia. Impossibile resistere al richiamo delle sue seduzioni. Recentemente, un esemplare della specie è passato di mano per 52 milioni di dollari.

Ferrari 250 Testa Rossa

Ferrari da collezione

Nel palmares di questa vettura ci sono tre mondiali marche: quelli del 1958, 1960 e 1961. Gli 800 kg di peso sono lanciati alle velocità più elevate da un robusto 12 cilindri di origine Colombo, affinato da Carlo Chiti. Alimentato da 6 carburatori Weber, sviluppa una potenza di 300 Cv a 7200 giri al minuto. Il suono che emana produce im-mense scariche di adrenalina. E’ un vero piacere assistere al passaggio di questa opera d’arte.

La vettura “clienti” debutta nel novembre del 1957 e nasce sulla spinta delle evoluzioni regolamentari previste per la stagione successiva, che mirano a ridimensionare le prestazioni, per evitare gli eccessi dei bolidi più grossi. L’autorità sportiva internazionale ritiene che un buon viatico per ottenere lo scopo sia di ridurre a 3 litri la cilindrata delle Sport.

Da Maranello arriva con grande tempismo questa pungente arma, che aderisce al rigore delle nuove norme. La versione definitiva giunge a rimpiazzare la 500 TRC, con la quale condivide alcune architetture tecniche. Rispetto ad essa è molto più rabbiosa. Il suo debutto agonistico avviene nel gennaio del 1958, alla 1000 km di Buenos Aires, dove ottiene una magnifica doppietta, con Hill e Collins primi, seguiti da Von Trips, Gendebien e Musso, giunti alle loro spalle.

La Testa Rossa è un vero rullo compressore. Miete successi nelle più disparate gare, a partire da Sebring. Vince la Targa Florio con Musso e Gendebien, che si ripeterà (in coppia con Hill) alla 24 Ore di Le Mans, consegnando alla Ferrari l’alloro iridato con una gara di anticipo. Hawthorn e Collins arrivano secondi alla 1000 km del Nurburgring. Nel 1959 si arricchisce dei freni a disco e di altre significative modifiche, che riducono il peso, fermando l’ago della bilancia su un valore inferiore di 50 Kg. La carrozzeria, realizzata da Fantuzzi, viene affinata dal maestro Pinin Farina, che la rende più fluida.

Spariscono le profonde feritoie di raffreddamento dei tamburi e il muso assume una diversa caratterizzazione. Diventa monolitico e a corpo unico, senza la scalfiture che tanta per-sonalità davano alla versione precedente. In alcuni esemplari spunta un cupolino trasparente in plexiglas nel cofano motore, che lascia ben in vista i tromboncini di aspirazione. Una soluzione, quella di far vedere gli organi meccanici, ripresa da altri modelli di produzione successiva. Ma l’eredità più grande lasciata dalla 250 TR è la testimonianza storica.

Arriva prima e seconda alla 12 Ore di Sebring del 1959, con Hill e Gendebien seguiti da Behra e Allison, e coglie altri importanti piazzamenti, non sufficienti a consegnarle l’alloro iridato. Sulla stagione pesano sfortunate circostanze, come la scomparsa di alcuni piloti che avrebbero potuto regalarle un palmares più luminoso. A fine anno, nella classifica assoluta, la Ferrari sarà seconda, alle spalle dell’Aston Martin. Il bolide del “cavallino rampante” vince comunque la sfida con la Porsche, che giunge solo terza.

La nuova TRI del 1960 consegnerà alla Casa emiliana il settimo Campionato Mondiale Marche. Spinta da un’evoluzione del motore 3 litri, ora dotato di iniezione, lubrificazione a carter secco e sospensioni posteriori a ruote indipendenti, è ancora più estrema. Con questa vettura Olivier Gendebien e Paul Frere vinceranno una memorabile e decisiva edizione della 24 Ore di Le Mans. Grande l’evoluzione stilistica segnata dalla versione 1961, molto più attenta all’aerodinamica.

Il cofano posteriore –alto e massiccio- diventa piatto, con spoiler terminale e coda tronca, figlia di una felice intuizione di Giotto Bizzarrini, che la trasferirà sulla Gto. Il parabrezza avvolge l’abitacolo, con un raccordo laterale che sigilla la parte superiore della carrozzeria. Il rinnovato frontale si compone di due prese d’aria a narici di naso. La carriera della Testa Rossa si chiuderà ufficialmente con un congedo di alto livello: un’altra vittoria alla 24 Ore di Le Mans! Il titolo iridato è ancora una volta nelle mani della Ferrari. Oggi, per avere un esemplare, bisogna investire cifre stratosferiche. In tempi recenti una 250 Testa Rossa è passata di mano ad oltre 29 milioni di euro.

Ferrari 330 P4

Ferrari da collezione

La Ferrari 330 P4 è un sogno di lusso milionario, destinato a pochi eletti con patrimoni da favola. Quasi impossibile trovare un esemplare in vendita, perché nessuno se ne vuole separare: un fatto ovvio per un gioiello da collezionismo senza eguali. Difficile ipotizzare un valore, ma le sue quotazioni sono al top. Roba da sultani e paperoni di Forbes.

Nella sua meccanica di alta classe si condensa la migliore tradizione del mito di Maranello. E’ una vettura robusta e prestante, ma pure scultorea e bilanciata. Appartiene alla stirpe delle “rosse” più affascinanti di tutti i tempi. Una superba opera d’arte, con una suggestiva armonia di forme. In tanti credono che sia la più bella Sport del firmamento automobilistico.

La linea della sua carrozzeria lascia estasiati, immersi nell’incanto delle magiche e sinuose curve che, nel loro morbido dipanarsi, inebriano i sensi degli appassionati. La 330 P4 è un’emozione, una confluenza di velocità, di tecniche, di stile e di melodie, che si fondono in un’eccitante miscela, la cui composizione effonde le rime di una poesia celestiale.

Il muso, basso e affilato, trasmette la grinta dei suoi cromosomi, mentre la coda, suadente e compatta, esprime il romanticismo della sua forza dinamica. Anche il cofano, incernierato sul tetto, estende i suoi muscoli con grazia divina. E’ un capolavoro assoluto, perfetto e proporzionato nei sensuali volumi, frutto di un lessico di aulica specie. Il sublime equilibrio che ne definisce l’azione consente a questa “rossa” di aggiudicarsi il combattuto Mondiale Marche del 1967, contro le agguerrite rivali a stelle e strisce.

Esteticamente simile alla P3 (dalla quale deriva), la 330 P4 vanta un telaio irrobustito e affinato. Si tratta di una struttura in tubi di acciaio, con elementi scatolati, che ospita il leggero involucro in allumino, forgiato da Piero Drogo. Valido l’assetto, garantito dalle sospensioni a quadrilateri deformabili; ottima l’integrità strutturale, che regala una marcia solida ed energica. La nuova creatura viene prodotta in quattro esemplari, uno dei quali in configurazione spider. Pesa 792 kg e gode della spinta di un affidabile 12 cilindri di 4 litri, curato da Franco Rocchi, che sviluppa 450 Cv a 8000 giri al minuto.

Questo propulsore, con funzione portante, segna l’esordio delle tre valvole per cilindro e di altri significativi affinamenti, nati dall’esperienza acquisita in Formula 1. Grazie al know-how tecnico l’iniezione indiretta Lucas ottiene la giusta valorizzazione. I condotti di aspirazione vengono posti al centro della V che separa le due bancate. Nuova la trasmissione, interamente costruita dalla factory emiliana. Il cambio, con frizione a dischi multipli, sfoggia ridotte dimensioni di ingombro e maggiore resistenza agli alti regimi di rotazione.

Gli interventi colgono nel segno e l’auto risulta molto più incisiva della progenitrice (che viene convertita allo stile dell’erede, con la sigla 412 P). Grazie ad essa si apre un nuovo e intenso capitolo nella lotta col gigante Ford, dopo che la brusca interruzione delle trattative per la vendita della Casa di Maranello, ormai in dirittura d’arrivo, aveva spinto il costruttore americano a lanciare il guanto si sfida, con l’evidente obiettivo di umiliare i bolidi italiani nel loro terreno di elezione: le corse!

L’azienda di Detroit vince nel 1966, ma è costretta ad abdicare alle “rosse” nella stagione successiva, grazie proprio alla P4, che nasce dal desiderio del Drake di rifarsi dello smacco, digerito amaramente. Il Commendatore esige il successo e convoca i suoi, per caricarli all’impresa. La chiamata alle armi funziona e i risultati non tardano ad arrivare.

Alla 24 Ore di Daytona del ‘67 è tripletta: vincono Bandini e Amon, seguiti da Parkes e Scarfiotti, entrambi sulla freccia scarlatta. Le due P4 e una 412 P, giunta terza, tagliano in formazione il traguardo. La scelta dell’allineamento sulla linea finale, voluta da Franco Lini, si rivela azzeccata, colpendo l’immaginario collettivo. Le foto delle “rosse” in parata conquistano le prime pagine di tutti i giornali, entrando nell’enciclopedia storica dell’automobilismo. Viene naturale leggere nelle modalità di arrivo un’efficace risposta alla vittoriosa sfilata di 3 Ford MKII alla maratona della Sarthe dell’anno precedente. Il primo conto di Ferrari è chiuso.

Nel prosieguo di stagione la 330 P4 ottiene la doppietta anche alla 1000 km di Monza, con Bandini e Amon davanti a Parkes e Scarfiotti. Alla Targa Florio, dinanzi al suo pubblico, Vaccarella è costretto al ritiro a causa di un lieve incidente a ridosso di Collesano. Senza questo imprevisto la classifica della gara madonita sarebbe stata diversa. Il “Preside Volante”, grande protagonista delle fasi iniziali della prova di casa, appare visibilmente contrariato. Al via della successiva 24 Ore di Le Mans ci sono otto Ferrari (metà delle quali P4) contro una sfilza di Ford. E’ subito lotta serrata, nonostante i 3 litri di handicap pagati dalle “rosse”. L’andatura è furibonda.

Vince la vettura statunitense, che sul traguardo precede i due bolidi del “cavallino rampante” condotti da Parkes-Scarfiotti e Mairesse-“Beurlys”. Per il Commendatore è grande delusione. L’alloro iridato è comunque destinato a rimanere in Europa. Alla 500 Miglia di Brands Hatch il ritmo brillante, tenuto nelle fasi conclusive, consente alla Sport emiliana di Chris Amon e Jackie Stewart di conseguire il secondo posto, alle spalle della enorme e folkloristica Chaparral. Molto più indietro le Porsche, che avevano vanamente sperato in una gara bagnata.

Per la tredicesima volta il Trofeo Costruttori finisce nelle mani della Casa di Maranello. Il conto col gigante Ford è definitivamente chiuso! Il merito va ad un’auto leggendaria, entrata nel cuore degli appassionati, più di qualsiasi altra creatura da corsa. Le nuove restrizioni regolamentari, che fissano per i prototipi una cilindrata massima di tre litri, impediranno la partecipazione della P4 al Campionato del 1968 che, per protesta, Ferrari non disputerà.

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Foto | Supercars.net

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ultimo aggiornamento: 27-04-2014